La sua foto delle gambe di un ballerino classico l’abbiamo vista tutti, stampata in migliaia di copie su manifesti e volantini di «Venezia in danza». Forse avvalorando uno dei suoi timori, cioè «come stamperanno le mie foto». Il suo scatto di Tognazzi che fuma una sigaretta è un’icona popolare, una di quelle foto che condizionano il ricordo. Così come è difficile ricordare Che Guevara in modo diverso dalla foto che gli ha scattato Alberto Korda, forse la più riprodotta di ogni tempo, sarà difficile ricordare Tognazzi a prescindere da quello scatto. Opera di un veneziano, Francesco Barasciutti, classe ’69, tra i principali ritrattisti al mondo. E, ovviamente, un volto sconosciuto ai più. Perché forse nessuna espressione artistica come il ritratto sublima la croce e delizia dell’essere, appunto, una artista. Ovvero l’essere un protagonista assoluto ma non con il proprio volto, quanto con quello dei soggetti ritratti.
Ottico mancato («anche se l’ottica mi è servita per capire molti aspetti dell’immagine»), alla morte del padre, che era stato anche fotografo di scena della Fenice, Francesco ne raccoglie il testimone, a 17 anni. E, pur essendo un fotografo poliedrico, lega il suo nome al ritratto. Perché in una foto gli interessa «cogliere l’anima della persona - spiega - Non che abbia l’arroganza di capire con un’immagine tutta la vita di una persona. Ma almeno condensarne un frammento e da un ritratto deve emergere la vitalità di una persona». Vitalità, quindi, non passività nell’atteggiamento del soggetto che è di fronte al suo obiettivo. «In un ritratto serve complicità del soggetto - aggiunge - L’elemento più complesso di una bella foto è realizzare quella empatia». E senza imposizioni. «Non c’è alcuna particolare preparazione al ritratto né impongo quali vestiti indossare - svela - Al massimo suggerisco la camicia a tinta unita perché quella a quadretti disturba sul bianco e nero». E, soprattutto, non ci sono invece soggetti più complessi di altri. Perché «non esiste la fotogenia, solo espressioni da saper cogliere» taglia corto.
Dalle pareti del suo studio occhieggiano ritratti di pittori e di attori ma «il 99 per cento dei soggetti delle mie foto sono persone comuni» precisa. Come Margherita Fuga, soggetto di una foto che sembra un’astrazione fatta persona, premio Kodak 1998. «Il soggetto era una neolaureata cui due amiche regalarono il ritratto - ricorda Barasciutti - É più facile che il ritratto venga donato che una persona si faccia ritrarre, se non per ragioni professionali». Forse perché nel regalo manca l’elemento dell’egocentrismo, viene da chiedersi. «Non direi egogentrismo... non proprio...manca...ecco, il narcisismo!» è il termine trovato dal fotografo. E mostra uno scatto di una Franca Valeri che trasuda intelligenza e autoironia. «Ecco, questa è una foto che è l’esatto contrario del narcisismo» sottolinea. E di seguito una foto di Dario Fo che riesce ad essere istrionico anche mentre disegna; un’altra vittoria sul narcisismo con uno scatto che ritrae insieme i pittori Bortoluzzi e Pizzinato, una rarità assoluta considerando l’egocentrismo dei pittori. Paolo Villaggio si è fatto ritrarre da Barasciutti almeno due volte e accanto a lui, sul muro dello studio, sorride Ernesto Calindri. «Simpaticissimo, aveva 80 anni all’epoca di questa foto, persona squisita - lo ricorda Barasciutti - Come Tognazzi del resto, che di fronte all’obiettivo era attento, calmo, curioso, disponibile. La foto con la sigaretta è venuta per caso. L’ha accesa perché aveva voglia di fumarla. Io ho scattato, ed eccola lì». E poi, scorrendo la sua personalissima galleria, ci si imbatte in un’intensa espressione di Gabriele Lavia, difficile da dimenticare. «Gli chiesi di pensare a uno stato d’animo - ne ricostruisce la storia Barasciutti - Aspettai un tempo lunghissimo, almeno un minuto, e poi scattai». Viene la curiosità su quale fosse lo stato d’animo. «Lo sa lui - rimpalla Barasciutti - Secondo lei, guardandola foto?».
(Pierluigi Tamburrini)
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