Luce e consistenza visiva: nuove sperimentazioni di Francesco Barasciutti prof. Angelo Maggi, Università Iuav di Venezia
Jean Baudrillard, Le système des objects, 1968.
Spazialità minima è un progetto inedito del fotografo veneziano Francesco Barasciutti dedicato ai temi della rappresentazione di luce e ombre per la creazione dello spazio. Egli da trent’anni lavora a Venezia come noto ritrattista e fotografo di aziende vetrarie veneziane. Le sue immagini a colori dei vetri di Carlo Scarpa ed Ettore Sottsass per Skira e le fotografie in bianco e nero dei lavori di Ritsue Mishima lo hanno reso noto nel mondo. In questa nuova sperimentazione, Barasciutti abbandona il linguaggio classico della documentazione visiva per addentrarsi nella lettura d’interazione tra carta, fotografia, colore e luce, rendendo omaggio alle qualità intrinseche della materia fotografica e reintroducendo l’imprevedibilità della composizione attraverso materiali semplici verso quella che potremmo definire una nuova idea di spazialità. Nell’era dell’iconismo digitale le immagini di Barasciutti hanno la peculiarità di essere uniche e rappresentano una sorta d’indizio su una delle mille possibili interpretazioni che il fruitore della fotografia può ottenere facendo appello ai suoi pensieri e alla sua immaginazione. Fotografare degli anelli di carta colorati, o semplicemente inquadrare delle strisce di carta piegate in un determinato modo, può sembrare un’operazione futile. Come nelle “sculture da viaggio” (1959) di Bruno Munari questi piccoli “origami” inondati e imbevuti di luce si trasformano e creano effetti sempre diversi secondo il tempo dell’esecuzione dell’immagine cristallizzandone l’essenza. La fotografia ha il ruolo decisivo nel rendere tangibile quel preciso istante che il fotografo genera portando le ombre ad amalgamarsi e creare il gioco sapiente tra superfici e nuovi piani della rappresentazione. Le immagini astratte di Barasciutti rievocano le parole di Man Ray quando dichiara: “Ho bisogno di sperimentare, in un modo o nell’altro. La fotografia me ne offre il mezzo, un mezzo più semplice e più rapido della pittura”1. La sperimentazione diventa l’incontro dell’oggetto, dell’apparecchio fotografico, della luce e delle sorprendenti scoperte visive del fotografo. Al di là della forte resistenza al luogo comune della rappresentazione, si delinea un progetto estetico creativo contemporaneo che ricorre a un repertorio di fonti iconografiche delle avanguardie artistiche. La luce manipolata è certamente riconducibile al “rinnovamento” in materia di creazione ottica di Làszlo Moholy-Nagy, di Alvin Langdon Coburn e di Luigi Veronesi, ma in questo nuovo progetto di Barasciutti la capacità d’astrazione delle impronte luminose supera una nuova soglia della non oggettività della fotografia. Egli è un acuto sperimentatore della percezione dello spazio attraverso un raro ritmo fotografico che matura nel tempo attraverso proiezioni d’ombra concepiti per trasparenza, dissolvenza e sovrimpressione. Il nuovo linguaggio visivo di Barasciutti è una ricerca in divenire che traduce corpi sottili in forme multiple ed evanescenti generate dalla scia luminosa. Le carte colorate si dematerializzano e ritornano ad esistere nella trascrizione visibile delle ombre. In queste astrazioni cromatiche fatte di fusione di forme e sfondo, lo sguardo non può non essere coinvolto in un’esplorazione dinamica. A volte l’autenticità delle forme geometriche diventa impercettibile, soprattutto quanto sottili lamine di luce tagliano l’ombra generando una sospensione spaziale come in vere anamorfosi. Guardando le indagini visive di Barasciutti tornano alla mente i Light filtering del 1935 eseguiti da Moholy Nagy con il procedimento fotografico Dufaycolor. Con questa particolare sperimentazione il noto artista e insegnante presso il Bauhaus, durante il suo soggiorno in Inghilterra prima di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti, sonda le proprietà cromatiche di leggerezza, trasparenza e duttilità della carta, del perspex e del plexiglass 2. Queste proiezioni luminose con effetto spaziale sono incroci di volumi reali e virtuali che animano lo spazio spingendo l’artista a confrontarsi con i limiti della fotocamera. Lo stesso fervore di ricerca sulla luce come sostanza generatrice della visione attraverso la fotografia, è parte integrante di una recente rilettura dell’opera di Nancy Holt (1938-2014), una site-specific artist molto apprezzata per i suoi lavori di Land-Art. Nel 2012, presso la galleria londinese Haunch of Venison, si è tenuta una mostra dedicata solo ed esclusivamente ai suoi Photoworks 3. Nell’affascinante installazione Sun Tunnels, elaborata per il deserto americano dello Utah negli anni Settanta, l’artista genera non solo una proiezione spaziale ma anche una proiezione temporale e ne fa - con la fotografia - il segno stesso della sospensione, della pausa, del fermoimmagine. Queste straordinarie immagini in bianco e nero, il ritratto dell’interazione tra luce e ombra che accarezza la rigida superficie di quattro grandi tubi in calcestruzzo, evocano il gioco cangiante luminoso creato dai manufatti di Barasciutti. In fotografia le ombre corrispondono alle parti del soggetto che non hanno ricevuto alcuna illuminazione dalla fonte di luce e di conseguenza non ne hanno potuto riflettere nell’obiettivo. Secondo Jean-Christophe Bailly: “L’ombra è letteralmente il fantasma vivente e vibrante dell’oggetto e in quanto tale installa il campo di apparizione che sarà proprio quello del fotografico: fotografare ombre è in qualche modo mostrare la matita della natura al lavoro, è ritrarre, attraverso l’immagine di un’immagine, un’origine del fotografico”4. Una volta affinata e sensibilizzata la percezione degli spazi creati, Barasciutti realizza immagini coerenti con l’etimologia della parola fotografia: “scrittura di luce”. Le ombre, le tonalità di colore sulle superfici, gli effetti di luce così attentamente studiati, perfino la stessa sorgente luminosa diventano gli elementi principali delle sue composizioni nelle quali le sagome geometriche sono secondarie e il tema è soltanto la luce. Questo “fragile segno di esistenza” che è la fotografia, non è semplice rappresentazione mimetica bensì “agisce direttamente e silenziosamente come ciò che sa o può echeggiare l’“intimo” delle cose”5. Spazialità minima di Francesco Barasciutti con i suoi tracciati visivi, con i suoi mutismi metafisici e con le sue filtrate cromie, incarna alla perfezione questa intimità. 1 Citato in Man Ray/Photo Poche - Fotonote, ed. it. Contrasto, Paris 2005, p.3. 2 Una descrizione accurata dell’indagine sperimentale appare in Jaennine Fiedler e Hattula Moholy-Nagy (a cura di) Làszlo Moholy-Nagy Color in Transparency. Photographic Experiments in Color 1934-1946, Stedl, Bauhaus Archiv, Berlino 2006, pp.46,47. 3 Si veda il volume di Ben Tufnell e Douglas Fogle, Nancy Holt: Photoworks, Haunch of Venison, Londra 2012. 4 Jean-Christophe Bailly, L’instant et son ombre, Éditions du Seuil, Paris 2008; trad. it. L’istante e la sua ombra, Bruno Mondadori, Milano 2010, p.109. Si veda anche E. De Conciliis (a cura di), Jean Baudrillard o la dissimulazione del reale, Mimesis, 2009. Dello stesso autore sugli stessi temi si rimanda a Jean Baudrillard, Ombre et photo, in Jean Baudrillard, “Cahier de L’Herne” N. 84, a cura di François L’Yvonnet, Paris 2004, pp. 231-232. 5 Ibidem, p.138. |
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