Inventare con la luce
prof. Renzo Dubbini, prorettore Università Iuav di Venezia
Le immagini di Francesco Barasciutti hanno qualcosa di magico. L’osservatore non può che ammirarle. E soltanto dopo aver riflettuto su quelle figure perfette, sulle piegature delle superfici, sul loro cromatismo, può interrogarsi sulla loro genesi, sul processo che le ha formate. Nascono da un processo manuale e da un attento esercizio dello sguardo: l’uso delle carte colorate, il ritagliare, il modellare, torcere le superfici e piegarle conduce al purismo della materia e della luce. E’ un processo inizialmente semplice che via via diviene più complesso, affascinante e rivelatore. Questo modo di utilizzare la fotografia risale alla tradizione della camera obscura, alle silhouettes, ai teatri d’ombre, alla Sciography, alle ricerche sulle immagini proiettate che costellano la storia della visione occidentale. A queste si unisce la materialità delle figure generate. Barasciutti ricorda di essersi ispirato ai papiers découpés di Matisse e alle sperimentazioni visive compiute all’interno del Bauhaus. In questa ricerca design e fotografia si fondono in modo essenziale. Gli sviluppi spaziali di Mondrian e poi di Barnett Newman, le indagini sulle strutture dei costruttivisti, gli studi di Moholy-Nagy in Germania e poi negli Stati Uniti sono campi germinali della ricerca di Barasciutti. A questi riferimenti potremmo aggiungere i contrasti dinamici di colori e di ombre di Calder, e più recentemente le invenzioni di James Turrell. Nel campo dell’architettura la concezione di superfici a sviluppo ha forti analogie con le stesse modalità generatrici di spazi e strutture: si pensi a certe opere di Lubetkin, Le Corbusier, o di Gehry. Barasciutti con straordinaria intuizione lavora nelle intersezioni tra arte, design, architettura, e trasforma l’ottica fotografica nel dispositivo rivelatore di un segreto sistema di spazi, che appartengono a tutti questi ambiti. E’ il risultato di una ricerca originale e coinvolgente. Queste immagini inedite e affascinanti, così armoniose e apparentemente immateriali, ci inducono a pensare a nuove modalità di ricerca sullo spazio, alla possibilità di trovare dimensioni che appaiono potenzialmente inesauribili. E per questo ci incoraggiano e ci seducono. Venezia, 2017. |
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