E’ vero che c’era il ponte della Paglia che voleva dire che esistevano anche delle stalle. Ed vero che i ponti erano piani inclinati perché i cavalli i gradini li facevano con difficoltà, ma i cammelli, i dromedari, i leoni, i draghi? Foresti anche loro, questi animali, come le razze dei tanti che da sempre son diventati veneziani, pur rimanendo connotati dai loro segni distintivi d’origine. Perché ai veneziani DOC piaceva girare il mondo, scoprire l’”altro”, conoscerlo per apprezzarlo ma magari anche per farci sopra o insieme qualche soldo, ma lasciarlo “altro” quando gli entrava in casa. Turchi, albanesi, greci, tedeschi, ebrei… tutti a lavorare insieme per il benessere e la grandezza della repubblica, ma tutti con la loro identità ben definita, con i loro “territori” identificabili e quindi mappati. Magari con segni distintivi simili a quelli delle confraternite, o di altri gruppi organizzati, nel senso dell’intervento lapideo atto a raccontare evocando (miti, leggende, devozioni), o, più semplicemente, a decorare confermando orgogliosamente il senso dell’appartenenza, della proprietà. Al di fuori della protezione acquea della città senza mura (per anni annorum la prima “metropoli” cosmopolita e multietnica del mondo!) c’erano solo i “contadini”, ovunque essi fossero, che se invece venivano accolti, in città, diventavano “foresti”. Senza spocchia, senza aria di superiorità. Solo con un preventivo e costante sospetto che pretendeva il massimo del controllo. Controllo previsto peraltro perfino nei componenti della nobiltà dominante, che potevano venir prontamente smascherati ed eliminati al primo segnale di disonore. Foresti come uno degli elementi fondamentali della vita che, insieme a molti altri, la città doveva importare: il vino, ma quello più corposo e robusto, rispetto al più gracile “nostrano” delle isole. Sempre “foresto” e sempre benvenuto. Come chiunque, rispettando le regole e rimanendo nel suo “territorio”, lavorava e produceva per la gloria della regina dell’Adriatico.
Carlo Montanaro |
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