Il bianco&nero evoca situazioni antiche, classicheggianti. Quasi a pretendere la qualità solo per il fatto di andar controcorrente, rispetto ai colori che baluginano saturi dagli infiniti schermini lcd (tablet, ipod, ipad, smartphone eccetera eccetera) che accompagnano ormai la nostra vita. Come controcorrente potrebbe apparire, sempre per partito preso, la visione sistematica di una Venezia senza angoli, senza spigoli, senza svolte improvvise sugli slarghi che, come magici teatrini, improlodono in spazi enormi in quelle piazze, o meglio, in quei campi che sono i nodi connettivi del tessuto che intreccia l’acqua alla pietra. Strade lunghe e strette in bianco&nero. Che aspirano compositivamente al classico anche se il classico bianco&nero, in questa città antica ma senza tempo, tornando all’indietro, rappresenta qualcosa di concreto ma irrerale, di verosimile ma artefatto. I grandi, visionari incisori del passato, pur adoperando la “camera oscura” per ricavare “d’après nature” i tratti distintivi di un paesaggio, preferivano allargare la visione, descrivendo più elementi possibile. E rendendo più che la realtà di un palazzo o di una piazza, la sua memoria. Mentre i grandi fotografi dei primi anni, completando l’azione della “camera oscura” con l’introduzione della lastra sensibile dove si concretizzano le immagini automatiche, avevano scoperto l’uso del teleobiettivo che accorciava le distanze, compattando la prospettiva, continuando però ad aggirare la realtà di uno sfondo che diventava, ancora, memoria o ricordo. Quando l’attenzione del fotografo, dall’aspetto scenografico-descrittivo, andò spostandosi sull’uomo, ritrovandolo nel suo ambiente, ecco che il mezzo di rappresentazione cominciò a connotarsi di realismo. Con uno studio della luce che cerca nei rapporti tonali del bianco&nero quella classicità che legittima uno scatto che, oggi come ieri, deve raccontare il vivere dell’uomo. Anche quando, come facevano gli incisori di un tempo, si prova a vedere di più utilizzando il grandangolo. Che accentua lo spazio, riempiendolo nel contempo di significato. Così, facendosi prendere dalla luminosità delle calli di Francesco Barasciutti, si può andare ancora oltre. Oltre al classico della composizione bianco&nero, tra le persone sorprese nel loro quotidiano. Puntando verso il fondo che riluce pieno di speranza ci si potrebbe aspettare perfino di vedere, di spalle, un omino con una giacchetta troppo stretta sopra dei calzoni troppo larghi, che si avvia saltellando verso quel futuro dove, direbbe un altro poeta del cinema “il buon giorno vuol dire veramente buongiorno”.

Carlo Montanaro

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