Un grande scultore che potrebbe anche essere Michelangelo affermava che, osservando un blocco di marmo era già possibile intuire quello che, eliminato il sovrappiù, sarebbe stata la statua che il minerale conteneva. Parlava, anzi, il nostro maestro, di un simulacro prigioniero che aspettava ansiosamente la liberazione. Se questa capacità cognitiva che può esser perfino definita logica per un addetto ai lavori, ma che risulta ostica e criptica per l'uomo qualunque, fosse riproponibile anche per il legno, si potrebbe affermare che i mari di tutto il mondo sono stati costantemente non solo solcati ma addirittura abbelliti e arricchiti da potenziali sculture galleggianti. Nella loro essenza le navi conservavano celate nel fasciame e nelle varie strutture interne chissà quanti possibili monumenti alla creatività umana. Un creatività che venne bloccata un paio di secoli fa, quando si scoprì che materiali molto resistenti ma non certo galleggianti come il ferro, qualora adeguatamente assemblati, potevano cavalcare le onde. La marineria ci guadagnò in potenza, prestanza e velocità, ma non si poté più replicare quell'attenzione verso la materia perché non è tipico della massa ferrosa, costruita con artificio tecnologico e non ritrovata pura in natura, l'identificazione della forma nascosta. Un'attenzione quasi magica che un tempo riusciva, armando gli scafi di legno e rispettandone necessariamente la gran parte della struttura massiccia, a ricavare qui e là, togliendo il sovrabbondante, almeno alcuni elementi decorativi tra il concreto e l'astratto. Come gli angeli, i dragoni, i tritoni o i leoni, o, ancora, le volute, gli scudi nobiliari, i fregi floreali, le colonnine, che abbellivano le barre dei timoni, le polene, le balconate, le fiancate, le prore di vascelli, galee, caicchi, trabaccoli, fregate e quant'altro. Rilievi e sculture che un tempo servivano perfino ad esorcizzare le paure ancestrali dei naviganti che cercavano di adeguarsi, controllandole, alle forze della natura. E che oggi, nei pochi, straordinari, esempi sopravvissuti, oltre al coraggio di chi li ha commissionati e utilizzati, ci si propongono come frammenti di una artisticità diffusa di sapore consueto e popolaresco, raccontandoci di una civiltà che sapeva sistematicamente e non solo eccezionalmente ritrovare le forme nascoste nelle materie naturali.

Carlo Montanaro

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